MANIFESTO (un po’ lungo)

Chi ha il coraggio di mettersi in discussione? Chi ha il coraggio di ascoltare, andare un centimetro più in là? Non ho tempo, non ora, lo farò, lo giuro so già tutto, non mi interessa, mi basta il mio
mai più dicotomia

Cosa voglio?

Non voglio creare un metodo da brevettare e vendere a caro prezzo, ma se il mio metodo è quello risolutivo per l’umanità perchè devo essere così micragnoso da lucrarci sopra oltre il mio compenso lavorativo? Perché brevettare? Vendere caro ed elitario il sapere?

Esiste il copyleft e l’open source!!!! (andate e vedere)

Il resto è speculazione economica o ego, prestigio, presunzione che il proprio sia il metodo assoluto, incontaminabile, non perfettibile.

Cosa voglio?

Vorrei conciliare dentro di me e fuori di me tutto quello che sento conflittuale, e che può diventare sinergia e complementarietà nel momento che non esiste più l’opposto, ma il complementare.
Medicine e saperi.

Vorrei poter condividere con qualcuno questa visione di un quadro di insieme che riunisce saperi, arti, visioni in un unica meraviglia che è l’essere umano.

Cosa voglio?

Essere spettatrice di una riconciliazione corpo, psiche, mente, scienza e arte in una logica condivisa in cui io sarei solo una portavoce occasionale di una prospettiva tutta da scoprire, o meglio, riscoprire.

Di cosa sto parlando:

Provo a spiegarlo con alcuni passaggi semplici ed essenziali che hanno ripercussioni in ogni campo. Partendo dall’organismo più elementare.

La cellula, la vita ha come legge essenziale la sopravvivenza, e la riproduzione.

Le cellule nel corpo, insieme collaboranti, hanno come scopo la cooperazione come sopravvivenza di gruppo, come garanzia della sopravvivenza dell’ individuo.

La coordinazione sempre maggiore tra individui abbisogna di differenziare i compiti, coordinarli e creare una banca dati a cui attingere per le competenze di ciascuno.

Perciò, che sia il corpo umano o la società, ci sarà bisogno di chi si occupa del cibo e di chi si occupa della difesa o dell’organizzazione o delle fognature o di costruire e riparare ecc

Nel corpo umano, nell’embrione, da una pallina di cellule tutte uguali  si differenziano via via tessuti e organi differenti.

Il cervello è l’organo deputato a coordinare le risposte all’ambiente.

Come un pc, le risposte possono esserci se c’è una domanda.

Primo passo la lettura dell’ambiente e la lettura dei bisogni interni, le afferenze:
per fare questo dobbiamo creare una memoria che distingua l’esperienza in base a quello che conosciamo, che abbiamo ripetutamente esperito come una costante prevedibile.

Riconosco la fame come sensazione e so che scompare se ingerisco cibo.

Se tocco il fuoco mi brucio e distinguo un cane anche se c’è una enorme differenza tra un chiwawa e un San Bernardo e via di seguito.

Ma sopratutto devo distinguere quello che può minacciare la mia incolumità, è fondamentale che ogni minaccia venga messa in primo piano e che si reagisca senza porre tempo in mezzo.

Cosa ne faccio delle letture dei sensori? Le elaboro, le valuto in relazione a quello che ho appreso e rispondo.

Le risposte essenzialmente sono di due tipi: chimiche e fisiche.

I neuroni hanno un sistema di trasporto del segnale che è praticamente uguale a quello degli effettori muscolari, il potenziale d’azione. E anche il sistema di trasmissione ai muscoli è tramite un neurotrasmettitore.

I muscoli non hanno senso senza un comando nervoso e i nervi non hanno senso senza un muscolo che agisca per loro.

Semplice eppure.

Eppure li consideriamo due sistemi completamente separati.

Cosa che non ha senso tranne che nei traumi esterni meccanici.

Ho fame apro il frigorifero, vado a lavorare, scappo dal fuoco, attacco chi può essere una minaccia per me. Tutte azioni per la mia sopravvivenza, alcune routine, altre urgenti.

Quando il mio cervello, molto complesso, ravvede una minaccia, reagisce.

Come reagisce?

Attivando l’unità di crisi che prevale su ogni altra gerarchia, compresa la volontà.

L’unità di crisi prepara il corpo a reagire, attiva le surrenali, aumenta la funzione del cuore per mandare tutto il sangue ai muscoli che si tendono come una balestra pronta a scoccare la freccia, pronti a reagire con la fuga o con l’attacco, cambia il sistema immune, chiude l’attività digerente ecc.

Se la minaccia è acuta, adrenalina, se cronica è stress: cortisolo.

Noi non abbiamo più a che fare con la tigre con i denti a sciabola, ne con la tribù che ci vuole rubare il raccolto, ma il nostro pericolo è per la maggior parte delle volte astratto.

Quali sono i nostri pericoli?

Perchè non ci accorgiamo, non vogliamo chiamare le cose con il loro vero nome?

Se il gruppo garantisce la sopravvivenza del singolo, il singolo per la sua sopravvivenza deve rimanere nel gruppo. La minaccia dell’esilio è una minaccia di morte.

E nella nostra società complessa il vero pericolo è rimanere fuori dall’accesso alle risorse di base.

Lavoro, casa, cibo e garanzie per i nostri figli.

Il pericolo per la sopravvivenza è non essere parte del sistema.

Checchè ne diciamo, anche i migliori che si sentono fuori dalla massa informe, non scelgono di vivere come eremiti che mangiano radici, ma hanno vestiti tessuti da qualcuno e mattoni messi insieme per fare una casa con un impianto idraulico ecc.

Il pericolo.

Il pericolo per un bambino è il non venir accettato dai genitori che lo sfamano e lo difendono dal freddo.

Il pericolo per un adolescente è essere escluso, giudicato inadeguato.

Se sopravvive da esiliato è perché in qualche modo ha accesso ad altre risorse sociali.

Come si reagisce al pericolo?

Quando diventa terrore?

Come puoi chiamare terrore una cosa così normale, così istituzionale come la scuola, i compiti, la competizione per il merito in qualsiasi campo?

Come puoi chiamare terrore il fatto di non rientrare nei percentili, nelle statistiche solo perché sei diverso e il fatto di venir etichettato nei tuoi tempi e nei tuoi modi fuori dai modelli,

Come può essere terrore, se ti negano che sia tale, che nome gli dai a quella sensazione interna, panico, folle attivazione del sistema di allarme, eppure tutti stanno facendo quello che faccio io e si sentono bene (?)

Come chiamare la paralisi, la fuga, il mal di pancia, lo scheletro in tensione con le cefalee, o i denti storti sotto lo stimolo dei muscoli che serrano la mandibola?

Cosa deve suscitare il giudizio benevolo dell’insegnante che ti vuole solo insegnare, ma se non riesci non sarai accettato, sarai etichettato come pigro o incapace, se non riesci sarai colpevolizzato o compatito. Perdente.

Come reagisci quando il mondo ti racconta che anche se superi tutto ciò, comunque sarai giovane adulto in un mondo con poche speranze?

Ecco, io nel mio mondo di adolescente avevo qualche preoccupazione in meno, ma mi ricordo il terrore con certi professori, ed era terrore anche all’università, ho visto terrore e avvilimento da prevaricazione di giudizio….”a fin di bene”.

(PS: ho sentito dire che nei paesi nordici posso giudicarti e punirti solo dopo essersi assicurati che tu abbia compreso e assimilato il compito e non c’è giudizio per l’apprendimento, ma per la messa in pratica di ciò che hai appreso)

Allora, poi estendiamo queste domande alla minaccia cronica all’interno di un lavoro, di una situazione adulta dove potresti perdere le risorse essenziali per vivere, lavoro, soldi, accettazione sociale, salute.

Minaccia cronica che subiamo in misura diversa tutti, la chiamiamo stress. Scadenze, conti, compiti, fatiche. Minaccia costante camminando vicino a un precipizio più o meno reale che noi valutiamo rispetto alla nostre situazione personale.

Il corpo reagisce:

attiva il sistema di pericolo, surrenali cronicamente stimolate, perciò alterazione del sistema digerente, maggiore secrezione gastrica, alterazione delle difese immuni, cuore che pompa più forte, aumenta la pressione sanguigna che dovrebbe trovare sfogo nei muscoli che agiscono e che siccome non possono, perché le nostre minacce non sono fisiche, allora la conseguenza sarà un’ipertensione sanguigna e una tensione cronica muscolare.

Giustissimo fare una gastroscopia e prescrivere la terapia adeguata, ma poi la causa continua ad agire.

Abbiamo un carico base che dobbiamo e possiamo sopportare, tutti noi sopravviviamo agli esami, al lavoro e alle prove della vita.

Quando superiamo la nostra capacità fisica alla sopportazione, allora il corpo ci avverte con l’accensione delle spie. Cominciamo a funzionare male.

Come medici, insieme alla terapia di una sindrome, dovremmo porci una sola piccola domanda in più, dovremmo chiedere ai nostri pazienti se nella loro vita forse non è il caso di analizzare quale componente ha causato lo squilibrio e se e come possa essere il caso di trovare un aiuto non solo medico.

Alle volte basterebbe poco, alle volte basta anche solo spiegare, da medici, che la gastrite può essere una reazione , basterebbe tradurre il corpo ai nostri pazienti.

Basterebbe insegnare ai ragazzi e ai giovani adulti a riconoscere e dare un nome alle sensazioni complesse che sperimentano e che danno letteralmente il panico a chi non ha ancora sviluppato gli strumenti che la società prevede abbiano.

Quando cominciamo ad avere gli ormoni della pubertà che circolano nel corpo, è una rivoluzione potente, un terremoto.

Per fortuna, se ci pensate, in quel periodo la nostra consapevolezza sta ancora maturando e siamo presi su così tanti fronti che poi ce ne facciamo una ragione.  Ma pensiamo anche solo come nell’adolescenza cambia radicalmente il sistema dei neurotrasmettitori cerebrali, come cambiano le leve e la coordinazione, cambiano le priorità inconsce della sopravvivenza, che vira verso lo stimolo alla riproduzione.

Ricordiamo che il sistema di sopravvivenza prevarica la coscienza e la volontà.

Salvo sforzi notevoli. Mettere una mano sul fuoco, farsi interrogare, rimanere lucidi al cospetto dell’innamorato/a.

Una rivoluzione ormonale, ma totale.

Non ci riconosciamo più, vorremmo ancora giocare a “mamma-casetta”, ma vogliamo anche uscire dal controllo die genitori per sperimentare autonomamente quale dei loro insegnamenti vogliamo fare nostro. Trovare un nostro stile, una nostra unica e personale storia.

E i genitori non ci riconoscono più.

Qualcuno rivorrebbe indietro il bambino affettuoso e indifeso.

In questo contesto, peraltro normale, ognuno di noi si crea un vocabolario di sensazioni ed emozioni e reazioni che meglio rispondono al contesto.

Ma alle volte senza un aiuto che ci traduca, questa educazione interna potrebbe essere carente, provocare risposte adattative inadeguate o o infelici.

Traumi per incomprensioni che ci trasciniamo poi per una vita intera.

Ma alle volte l’epoca storica e il carico richiesto non riconosciuto come eccessivo, negano un nome a quello che senti, non hai riferimenti. Nella terra di nessuno. Panico e isolamento sociale. Al limite della sopravvivenza.

Non basta l’affetto, ci vuole la capacità di dare un nome alle sensazioni.

Niente di che. (?!?)

Sentirsi inadeguati o in colpa è normale per la maggior parte di noi, sempre in tensione con il senso di venir giudicati anche quando non è così. La sopravvivenza sociale sempre in discussione.

Normale. Se eccede abbiamo sintomi che chiamiamo stress. Stress e tensione cervicale. O peggio.

Ma c’è anche un altro aspetto fondamentale del sistema nervoso, del cervello.

La memoria, il giudizio.

Impariamo, continuiamo ad imparare quello che l’ambiente dove viviamo ci richiede.

Impariamo con la ripetizione di un gesto o di una nozione, fino a che si stampa nei nostri circuiti interni.

I trucchi per imparare meglio sottendono associazioni con altre memorie già apprese. Il nuovo numero di telefono uguale alla data di nascita, e al numero civico della mamma della sorella….

Ma sin dall’antichità nella complessità delle lezioni da apprendere era fondamentale distinguere e fissare bene quali minacce mortali bisognava evitare o come bisognasse reagire. Il lupo nel bosco, attraversare la strada, toccare una presa elettrica, parlare con gli sconosciuti. Apprendere il pericolo, la soluzione per evitarlo e sapere la strada per mettersi al sicuro. Con un racconto che evoca l’emozione in maniera che poi venga riconosciuta nel bisogno, che non sia una sensazione che paralizza o sconosciuta.

Imparo la paura, la rabbia, nella simulazione del racconto. Imparo a riconoscerle.

Esagerando, dopo tanti film di fantascienza non rimarrei paralizzata del tutto ad incontrare un alieno….

Perciò l’apprendimento è influenzato in maniera fondamentale dalle emozioni.

Le emozioni sono il nome che diamo alle sensazioni interne di attivazione del sistema di sopravvivenza. Quelle che difficilmente controlliamo. La paura e la rabbia ad esempio, cerchiamo di controllarle, ma non riusciamo ad eliminarle, le nascondiamo.

Ma loro agiscono lo stesso…. Pressione, cuore, muscoli, surrenali….non possiamo usare la volontà.

Le emozioni nell’educazione, dalla notte dei tempi, vengono evocare dalle storie e dai racconti.
Impariamo così a riconoscerle e associarle ad una risposta. Cappuccetto Rosso, la piccola fiammiferaia ecc

Impariamo al sicuro se le emozioni sono simulate, se sono controllabili dentro una finzione.

Se ho vera paura non imparo, divento cieca nelle mie reazioni.

Ma poi se mi faccio passare la paura, rivivo istintivamente mille volte il momento traumatico per imparare come reagire a quello stimolo, se si ripresenta.

Adesso sappiamo che esistono i neuroni specchio, quelli stessi che sono implicati nell’empatia, quei neuroni che ci permettono di simulare dentro di noi scenari ipotetici come se li vivessimo, per poter essere preparati ad ogni evenienza.

Sono quei neuroni che ci fanno immedesimare nei nostri eroi, quelli che superano immani ostacoli e vincono. Ci insegnano a riconoscere emozioni interne dentro una simulazione, così quando ci capitano veramente siamo pronti.

Cosa imparo da un equazione e dalla sequenza dei governi dopo l’unità d’Italia o dalla poesia del Foscolo? Non raccontiamocela giustificando cose alterate dal ricordo nostalgico.

La paura del voto, il parcheggio scolastico in attesa di vivere le mie scelte, ma senza che nessuno mi prepari veramente alla responsabilità di me stesso come persona con emozioni, bisogni, aspettative, desideri.

Spesso ‘non so cosa voglio’, in realtà per capirlo devo aspettare la fine del parcheggio e poi scegliere rapidamente, pressato da consigli, ma senza aver potuto mettermi alla prova, dopo anni di “devi essere responsabile a modo nostro”.

Perché dovresti essere terrorizzato dalla scuola e dal futuro?

Le tue sensazioni negate nel nome che non puoi dargli.

Negate le fondamenta fisiche su cui fare riferimento, perché le emozioni sono fisiche, sensazioni interne.

Sono sbagliato/a perché sento queste cose che tu mi dici non essere reali?

E gli adulti… ‘Avrei voluto fare’, ‘vorrei avere il coraggio di cambiare’…., sopravvivere al lavoro, sopravvivere con il sistema di pericolo sempre attivato. Quanti adulti con queste considerazioni, domande.

Vissute come normali, imposte come normali a chi viene dopo.

(trovare senso nel lavoro, qualsiasi esso sia: un privilegio)

Ecco, essere terapeuti dovrebbe essere a tutto campo.

Medici e psicologi e educatori dovrebbero riunire le loro competenze. Tutti hanno studiato il cervello e l’apprendimento… tutti se ne scordano.

Arriva un ragazzo con la cefalea o dolori sine materia o scombussolamenti ormonali.

E’ un bravo ragazzo che vuole fare le cose per bene che sa che è giusto studiare tanto, e rendere al massimo. Ma il corpo lo tradisce, proprio quando dovrebbe supportarlo maggiormente. Pensa sia normale, è abituato alla normalità delle aspettative su di lui, ma non si rende conto che il suo corpo sta anche sforzandosi di crescere in altezza, in competenze sociali innate, in competenze riproduttive…. Somatizzazioni….

E non metto in dubbio il modello, devo viverci, non metto in discussione le esperienze e l’aiuto sincero della famiglia che non ha a sua volta i sistemi di lettura adeguati ad un epoca di standard codificati in maniera cosi stretta.

Ma c’è anche chi invece esprime disagi psicologici, comportamentali, che fa fatica a crescere o ad apprendere o a mantenere un comportamento adeguato, chi risponde con reazioni di difesa senza riuscire a controllarle.

attacco fuga paralisi

Ecco: sono reazioni fisiche, FISICHE alla paura.

Possiamo elaborare analizzare stimolare tranquillizzare, dipanare percorsi cognitivi, comportamentali, terapie ….

Ma senza capire che sottese ci sono sensazioni fisiche non controllabili, che bisogna passare da un vocabolario fisico del disagio psichico, allora sarà tutto più difficile.

Scavare sui perché, alle volte nei ragazzi non ha il senso che ha negli adulti.

Non hanno ancora strutturato i loro percorsi neuronali, le loro storie interne che saranno le loro risposte automatiche all’ambiente. Loro possono inventarsi ancora la loro versione, e se insistiamo a interpretare il loro vissuto nella maniera sbagliata, quella sarà la loro storia per sempre.

Insegnare ai ragazzi a riconoscere le sensazioni fisiche che alimentano il panico, quelle sensazioni senza nome che ti sconvolgono da dentro e che se sono troppo intense diventano dolore lancinante, misto a terrore, terrore di non farcela, terrore di non sapere cosa ti prende dentro, terrore di sopravvivenza nel non sentirsi adeguato perche chi mai si sente questa lacerazione come me?

Abbozzo, fingo, dissimulo, imparo a farlo, ma magari quel terrore mi accompagnerà a lungo. Cerco di controllare le poche cose che posso, il cibo, gli alti, mi aggrappo a quello che posso. Aspetto che qualcuno arrivi per me, a risolvermi.

Dare un nome, raccontare una storia dove posso sperimentare in maniera protetta la fisicità delle emozioni e apprendere su me stesso, sui comportamenti altrui e su come gestire quello che vivrò nella realtà.

Scoprire che se il mio corpo reagisce in una certa maniera, ad esempio con posture in difesa o attacco, posso poi rilassarlo per non alimentare in feedbck il sistema limbico.

Posso scoprire che la sicurezza posturale, il gioco, il ballo, la coordinazione facilitano il mio apprendimento e la mia reazione emotiva, la mia adeguatezza all’ambiente.

Sinergia di risorse.

E basta un qualsiasi libro di neuroscienze per vedere tutto ciò descritto biologicamente e inequivocabilmente.

Scienza, biologia, medicina, psicologia.

Medici, psicologi, insegnanti di qualsiasi tipo, ecco, pensateci.

Gnatologi e temporomandibolare e strindere i denti.

Neurologi e cefalee.

Disturbi gastrointestinali e stato emotivo.

Cardiopalmo, tensioni muscolari, mal di schiena, alterazioni del ciclo (peraltro alle volte normale rodaggio scambiato per patologia),.

Nell’adolescente ma anche nell’adulto ogni patologia funzionale potrebbe essere ricondotta più o meno indirettamente ad una reazione all’ambiente, dunque domandiamoci se un semplice intervento, una semplice domanda, senza fare gli psicologi, può indirizzare verso una soluzione delle cause.

E anche nell’adulto spesso la cronicizzazione di un atteggiamento fisico cronicizza anche un atteggiamento psichico. I muscolo hanno memoria che dovrebbe poter essere non dimenticata ma agita, archiviata, non essere portata addosso.

Perché le tensioni muscolari non possono che essere una risposta centrale ad una elaborazione delle circostanze vissute.

E le tensioni muscolari modellano l’architettura ossea e sollecitano come una morsa le articolazioni causandone un cattivo uso e una loro alterazione che è di difficile riparazione per la loro intrinseca mancanza di vasi sanguigni

PS : chi muove ossa, tendini, e fasce?

Dimenticavo anche io di riunire altri due aspetti.

Fondamentali.

Abbiamo detto che vivere in una società è fondamentale per la nostra sopravvivenza e venire accettati è la condizione necessaria.

Vivere in gruppo presuppone una forma di linguaggio comune. Una lingua, una tradizione ecc.

Ma fondamentale è anche l’arte, che setta di epoca in epoca i nostri sensori su un comune senso positivo oltre al senso del pericolo.

il rock per mio nonno era rumore

Picasso o la street art, non esiste il bello di per se, o meglio senza addentrarmi in quello che non so, quello che ipotizzo come molto probabile è che una delle funzioni dell’arte sia il riconoscersi in un modello o una gamma riconoscibile di stimoli che associati o meno ad altri, mi provocano sensazioni positive.

(un concerto con i miei amici, un film che mi rappresenta, un ballo che conosco)

Il rinforzo positivo funziona non solo negli animali. Noi siamo animali, non scordiamocelo.

E il piacere è legato alla sicurezza e la sicurezza nel riconoscere, riconoscersi.

E in tutto ciò ancora la narrazione come fondamentale.

L a narrazione come filo conduttore tra la scienza raccontata, l’arte e l’espressione, le emozioni e le lezioni su come reagire ai pericoli e la mondo.. narrazione per tramandare esperienza.

Un conto è aver letto un libro tecnico di un esperto, un conto aver lavorato o visto lavorare, aver avuto la possibilità di attivare i neuroni specchio nella relazione con la storia o la persona.

Come fare?

La scienza c’è già, le competenze tecniche anche, l’esperienza nel gestire il problema della persona dentro la propria gamma di competenze, data dall’esperienza e dalla sensibilità: c’è.

Poi però il vocabolario umano, quello delle sensazioni interne, nessun libro lo insegna.

Adoro gli horror, i gialli, i film romantici, le commedie.

Perché i bimbi vogliono vedere all’infinito lo stesso racconto?

Perchè non ripartire dalle nostre personali sensazioni come terapeuti per guidare in un racconto soggettivo, la biologia (intesa anche come psiche)?

Ripescare nel nostro fisico il ricordo di sensazioni legate all’esperienza, o usare i nostri neuroni specchio per immedesimarci nelle sensazioni fisiche ed emotive dei nostri pazienti?

Per guidarli con competenza, per insegnargli a riconoscere se stessi.

Impariamo ad ascoltarci come responsabilità verso le persone di cui ci prendiamo cura.

O c’è sempre qualcun’altro a cui dobbiamo delegare le nostre risposte?

Ovvero:

medico non trattare il corpo come oggetto, e

psicologo e insegnante non trattate il corpo e le sue reazioni come estranee al vostro contesto.

La psiche influenza in maniera importante il corpo

e il corpo influenza in maniera importante psiche ed apprendimento.

Aprite un qualsiasi libro di neuroscienze.

Uno qualsiasi.

Non si possono avere più scuse, non si può ignorare ciò.

Se tutto questo ha senso per voi, allora rimenete in contatto, tutto questo è la premessa per qualcosa di concreto, semplice ed efficace, che esiste già.

Perchè penso che lavorare insieme sia la risposta migliore, e vorrei fare da catalizzatore.

 
 
 

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Comincio oggi a scrivere della mia esperienza, delle mie piccole e grandi scoperte, delle mie riflessioni.
Delle mie domande e dei miei dubbi.

Non credo nelle certezze assolute, mi spaventano.
Non esistono nella fisica.
Perchè mai nella biologia o nella medicina???
Infatti la medicina un tempo si definiva “arte”.

Sono un essere umano ancor prima di un medico. E come tale sono meravigliosamente complesso, integrazione di mille variabili, di mille aspetti unici.
Ogni giorno scopro nuovi aspetti da considerare, nuove riflessioni, mediche ed umane.

Provo a condividere, sperando di non essere tediosa.